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Storia

Ceresole d'Alba - Centro Storico - Via Principale
Ceresole d'Alba è un comune di 2.088 abitanti della provincia di Cuneo, in Piemonte. Il comune fa parte della delimitazione geografica del Roero, cioè del territorio di 22 comuni collocati sulla sinistra idrografica del fiume Tanaro. Ceresole d’Alba è il comune situato più a nord della provincia di Cuneo.

LA STORIA DEL COMUNE DI CERESOLE D'ALBA

Le prime testimonianze di presenza umana sul territorio Ceresolese risalgono direttamente alla preistoria; scarsi invece gli agganci toponomastici all'età romana.

Ceresole entra nella storia nel 1041, confermata dall'imperatore Enrico III al vescovo di Asti. Parte del territorio - la "grangia del Bosco"- attuale cascina Grangia - è possesso dell'abbazia di Casanova.

Con l'inizio del '200 risulta infeudata dal vescovo ai consignori "de Montaldo" e a quelli "de Anterixio". Dopo la metà del '200 i Tebaudo e Berruto di Ceresole (dei "de Anterixio"), iniziano la vendita dei loro feudi: nel 1252 cedono a credito ai conti di Biandrate, Anterisio e Desaya; due anni dopo vendono ad Asti la loro parte di Ceresole e ne vengono reinvestiti; nel 1256, forse costretti, vendono ad Asti il credito che hanno verso i Biandrate.

Dopo la sconfitta dei Biandrate nel 1290, metà di Ceresole è temporaneamente infeudata al marchese di Ceva, ma nel 1304 i Biandrate sono riammessi, con patti di vassallaggio verso Asti, nei loro precedenti feudi, ivi compresi Ceresole, per la quale fanno omaggio nel 1312 agli Acaja, ricevendone investitura nel 1314.

I Roero fanno il loro ingresso feudale in Ceresole e Palermo nel 1374, mediante acquisto da Asti viscontea; nel 1468, dopo vari passaggi all'interno del casato, perviene a Filippo, capostipite del primo ramo dei Roero di Ceresole.

Con le guerre del secolo XV il territorio di Ceresole diventa accampamento e campo di battaglia di francesi e imperiali: da terribile battaglia del 1544 sull'altopiano della Gerbola e del Monbelletto porta la distruzione tra le fila imperiali e in paese.

La Battaglia di Ceresole d'Alba del 1544 (Breve sintesi a cura del prof. Alberto Lusso )
La battaglia di Ceresole è l’ultimo scontro diretto in Italia tra Francesco I e Carlo V. È notoriamente associata alla battaglia di Marignano (1515), non tanto per le proporzioni e le conseguenze, ma per il fatto che sia la «battaglia dei giganti» (Marignano) sia la battaglia di Ceresole sono scontri in cui i Francesi risultano vincitori; sono inoltre le due battaglie vinte da Francesco I che riscattano le sconfitte della Bicocca (1522) e di Pavia (1525). Francesco I sarà poi il vincitore, e la celebrazione di questa vittoria troverà ampia visibilità sulla tomba dell’ammirato sovrano. Il parallelismo con la vittoria di Marignano è infatti testimoniato nella chiesa di Saint-Denis, a Parigi: sul monumento funebre di Francesco I, nei vari bassorilievi che ornano il basamento dell’imponente mausoleo, il raffinato artista francese Pierre Bontemps scolpirà entrambe le battaglie. Da questo momento la battaglia di Marignano (1515) e quella di Ceresole (1544) verranno così indissolubilmente unite e Ceresole d’Alba acquisirà così un posto di primo piano tra i simboli che alludono ai meriti del sovrano francese. La storia della battaglia è tuttavia importante, soprattutto perché nelle guerre rinascimentali rappresenta uno scontro diretto e imponente tra due eserciti. Non si tratta infatti di una semplice scaramuccia o di un intervento di logoramento teso ad esaurire le forze avversarie, ma di una battaglia vera e propria, con notevole dispiegamento di forze e un numero assai elevato di morti in un solo giorno (senza contare la devastazione del paese e i danni alla popolazione).
ORIGINE DELLO SCONTRO E CONQUISTA DI CARIGNANO
Lo scontro nasce dal tentativo di Francesco I e di Carlo V di prevalere negli Stati italiani: entrambi hanno come obiettivo il possesso di piazzeforti che devono garantire la sicurezza delle città acquisite e l’egemonia sul territorio circostante nell’ambito di un’area più o meno estesa. La difesa degli assediati nella città di Carignano diventa cruciale per gli Imperiali per mantenere dei possedimenti alla sinistra del Po, in mezzo alle piazzeforti francesi; mentre per i Francesi è fondamentale impedire il ricongiungimento degli Imperiali (che da Asti cercano di portare soccorso a Carignano), i quali potrebbero mettere in difficoltà l’equilibrio nelle zone conquistate in Piemonte. 
LO SCONTRO Per il tempo non si tratta affatto di eserciti di piccole dimensioni. Se si considera che in un solo giorno si scontrano circa 30 mila soldati e che al tempo 30 mila sono anche gli abitanti di Torino, ci si può rendere conto delle proporzioni. Si tratta di uno scontro frontale, non necessariamente cercato, ma molto temuto e infine indotto dalla situazione di fatto, dall’accentuarsi delle condizioni climatiche sfavorevoli e di altri impedimenti che determinano un rallentamento all’avanzata dell’esercito di del Vasto (comandante dell’esercito imperiale) e dunque un’accelerazione della prospettiva – considerata spesso come ultimo rimedio ai conflitti – dello scontro diretto. Il ritardo negli spostamenti, che comporta soprattutto la variazione dei piani degli Imperiali, e la mancanza del fattore sorpresa, che potrebbe confondere e scombinare le aspettative francesi, rendono inevitabile la battaglia. L’esito tuttavia rimane per molto tempo incerto, ed entrambe le parti in lotta si convincono della disfatta e della vittoria in tempi diversi, a confermare quello che scrive Ludovico Ariosto nell’Orlando furioso a proposito della guerra: «Ecco Fortuna come cangia voglie».
LE NOVITÀ NELL’ARTE DELLA GUERRA 
La battaglia di Ceresole rappresenta un esempio tipico di una fase di transizione dell’arte della guerra. A differenza delle guerre medievali, in cui il cavaliere ha un ruolo fondamentale, nella battaglia di Ceresole emerge la prevalenza della fanteria sulla cavalleria. La fanteria del Cinquecento (che rappresenta la vera novità della nuova organizzazione della guerra), modellata sull’esempio degli Svizzeri, è in grado pertanto di resistere alle cariche della cavalleria. La battaglia di Ceresole rivela inoltre la novità della tattica delle armi congiunte: la cavalleria, infatti, non combatte esclusivamente contro la cavalleria nemica, ma a sostegno della fanteria, a differenza di quello che accadeva in passato. Inoltre, il combattimento congiunto di archibugieri o pistolieri e picchieri, ossia l’integrazione delle armi da fuoco nei reparti di fanteria, che consente ai soldati di uccidere i capitani nelle prime file dell’esercito avversario, si rivela un’altra significativa novità. L’evoluzione dell’arte della guerra si comprende nella maggior rilevanza che assumono le armi da fuoco nel combattimento e nella difficoltà di fronteggiarle. Sia l’archibugio (la nuova arma) sia il cannone rendono sempre meno determinante il ruolo dei singoli cavalieri medievali, certamente ben corazzati, ma meno funzionali alla dinamica moderna degli scontri: la possibilità di combinare armi da fuoco e cariche di cavalleria leggera mette infatti in difficoltà gli squadroni opposti. Il cavaliere medievale, rappresentato nella battaglia soprattutto dagli hommes d’armes francesi, ha dunque un ruolo marginale rispetto alla fanteria rinascimentale.
L’ULTIMO CAVALIERE Un’altra particolarità della battaglia consiste nel fatto che l’ultimo cavaliere ad essere nominato sul campo di cui si ha notizia è Blaise de Monluc, il comandante degli archibugieri francesi che ottiene la nomina di cavaliere al termine dello scontro proprio sul campo di battaglia nella piana di Ceresole.

La pace che ne segue a Crépy è solo una tregua effimera; le armate continuano a correre il territorio e nel 1588 Ceresole è nuovamente data alle fiamme dagli spagnoli.

Nel 1630 vi alloggia l'armata imperiale di Rambaldo di Collalto; nello stesso anno vi transitano 23.000 francesi diretti a Canale. Per gli abitanti di Ceresole, oltre a violenze e depredazioni, resta il loro ricordo nella peste, che infierisce ancora in novembre.La guerra civile porta altre sciagure.

Nel 1639 l'abitato è saccheggiato dagli alemanni; due anni dopo subisce la stessa sorte ad opera dei francesi. La triste vicenda si ripete nel 1690: il 7 ottobre viene saccheggiata dagli alemanni, seguiti dopo nove giorni dai francesi, che tornano il 29 ottobre e bruciano tutto.

La tragica serie dei saccheggi si chiude nel 1706, il 22 giugno, ad opera dei francesi diretti all'assedio di Torino. Nell'ultimo quarto del '600 l'ultimo dei Roero - Francesco Bernardino - vende anche il "palazzo" e si riduce a vivere nella stalla dei particolari, morendo in miseria nel 1707 all'Ospedale di Carmagnola.

L’eccidio dei martiri di Ceresole d’Alba

Nella notte tra il 21 e 22 luglio 1944 350 tedeschi, accompagnati da una ventina di repubblichini
provenienti da Scalenghe e Pinerolo, marciano su Ceresole.
Le formazioni divise in due gruppi si muovono e operano autonomamente per poi riunirsi in località
Maghini all’alba di sabato 22.
I tedeschi fermano:
Giovanni Novarino (46 anni), il proprietario della cascina Novarino in via S. Antonio.
Florindo Pettinati (42 anni), torinese sfollato con un figlio partigiano, Mario “Walter” giunto nel
borgo alla ricerca di armi.
Ruggero Degno mentre tenta di nascondersi presso il rio Riccardo. Entrato nella 12a Divisione
Bra la settimana prima.
Giovanni Trinchero (cl. 1916), sorpreso in casa mentre sta per andare a messa
Bartolome Gioda, di anni 17, poi rilasciato in località Alfiere.
un gruppo di sei giovani, in regione Tagliata. Nel tentativo di evitare il rastrellamento, hanno
trascorso la notte sotto un gelso.
«Con i moschetti spianati circondano l’albero e intimano la resa. Si tratta di un piccolo gruppo di sei
[…] giovani addormentati, che non hanno risposto alla chiamata repubblicana alle armi e per sfuggire
ai continui rastrellamenti si sono portati a dormire in campagna, in prossimità dei boschi. Essi sono:
Vincenzo Molina (classe 1920), Giuseppe Lusso (classe 1920), Michele Dassano (classe 1922),
Gianfermo Burzio (classe 1924), Gregorio Ferrero (classe 1924), Tommaso Marocco
(classe1925). Vengono percossi a sangue e perquisiti: non hanno armi, non possiedono documenti
compromettenti. Tra guanciate che fanno loro deformare il volto, pugni nei fianchi e calci, vengono
spinti fino ai Maghini».

Alle 8,30 i tedeschi, dopo i saccheggi nella cascine, radunano i fermati. Un processo burla, pochi
minuti, condannati a morte. Tutti accusati di essere “banditi”.
L’esecuzione è prevista a Carmagnola. Percorso un chilometro, i tedeschi ordinano il dietrofront:
occorre atterrire la popolazione civile nella speranza di fare terra bruciata intorno alle formazioni
partigiane: i ceresolesi devono morire a Ceresole.
«Carri armati, autoblinde e soldati SS occupano letteralmente la via principale. Vedo i miei giovani
col viso tumefatto, occhi pieni di sangue, quasi irriconoscibili…», così il parroco don Pietro Cordero
nel 1954, ricorda la scena.
Allineati lungo il muro affacciato sull’albergo Campana di Giacomo Novarino. Preparati i cappi: una
corda srotolata e tagliata a lunghezze regolari. Il parroco ha dieci minuti per confessare i condannati e distribuire le ostie.
Dei dieci condannati a morte nove vengono giustiziati.
Uno, Giuseppe Lusso, è trattenuto per essere giustiziato altrove. Lo portano prima a Carmagnola e
poi a Scalenghe. Dopo una ventina di giorni è rilasciato.
Giovanni Trinchero, Florindo Pettinati e Ruggero Degno sono impiccati a un balcone dell’albergo
Campana.
Ruggero non non muore subito, si dimena disperatamente. Un milite corpulento si aggrappa a lui
finché il corpo non si muove più. Poi si allontana soddisfatto, ridendo e fumando con indifferenza.
Di lì a poco sono impiccati a un altro balcone dell’albergo Tommaso Marocco, Gregorio Ferrero e
Michele Dassano.
Passano alcuni minuti e al balcone di casa Croce, un’abitazione privata che sorge a cento metri di
distanza, vengono impiccati Vincenzo Molina, Giovanni Novarino e Gianfermo Burzio. La corda di
Gianfermo si spezza e lui si rialza incredulo. Immediatamente i tedeschi lo impiccano una seconda
volta. Questa volta la corda non si spezza.
L’eccidio è compiuto. I tedeschi non sono ancora soddisfatti: incendiano l’albergo Campana.
Le fiamme bruciano anche le corde di tre degli impiccati che stramazzano al suolo ormai
irriconoscibili. Nuovamente issati al balcone.
Il più alto in grado tra i tedeschi ordina che i giustiziati siano lasciati a penzolare pena la distruzione
dell’abitato. La popolazione atterrita dalla violenza perpetrata non osa disattendere gli ordini. I
tedeschi che sorvolano più volte l’abitato per verificare il rispetto delle disposizioni impartite.
Le SS lasciano Ceresole portandosi dietro i beni razziati e alcuni ostaggi, tra cui il muratore torinese
Vincenzo Montella (36 anni) sorpreso presso la cascina Baracca. È impiccato con Onorato Toppan
poche ore dopo sul piazzale della stazione di Sommariva Bosco.
I corpi dei nove impiccati di Ceresole, ormai in parziale decomposizione a causa del caldo estivo,
sono resi alle famiglie e alla pietà della comunità solo nel pomeriggio del giorno dopo, domenica 23
luglio 1944.
Informazioni tratte dal sito:
http://www.stradememoriepartigiane.it/ceresole/

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